di Michele Tronconi - Presidente di Sistema Moda Italia
La crisi sta dilatando quella parte dell’economia che riesce a sopravvivere solo nel sommerso grazie all’evasione fiscale, al mancato rispetto dei contratti nazionali di lavoro e delle regole a tutela della sicurezza sul lavoro. Sbaglieremmo, però, a pensare che tutto ciò sia il risultato solo dell’avidità di qualche imprenditore senza scrupoli. Molto spesso si tratta di situazioni dettate dalla necessità del primum vivere. Qualcosa che non si può giustificare, vista la fatica dei molti che continuano a operare alla luce del sole, ma che non può risolversi in un lancio di pietre che ha il sapore di manicheismo. E che, per giunta, finisce per lasciare tutto come prima. Le disgrazie, perché di questo si tratta, mettono in luce i passi falsi, ma ancor di più i passi non fatti, i peccati di omissione; soprattutto quelli che si declinano al plurale.
In questo momento c’è l’assenza colpevole di una maggiore attenzione al lavoro nell’industria manifatturiera, che lascia scivolare troppe vicende imprenditoriali e occupazionali nella residualità e, quindi, nel sommerso. Non si tratta di fare processi ma di praticare una maggiore coerenza tra le mete di civiltà e di crescita economica che tutti condividiamo, a parole, e i mezzi messi in campo per realizzarli.
Se ne esce solo con una rinnovata collaborazione tra pubblico e privato, tra Stato e mercato, dove ognuno faccia con responsabilità la sua parte. Non si tratta di una panacea per evitare il ripetersi di sciagure come quella di Barletta, ma di uno sforzo comune teso ad alimentare un clima di fiducia e di ottimismo che ora vacilla più di quel maledetto edificio fatiscente.